Decluttering e Space clearing sono parole che indicano quanto
sia difficile buttare via cose vecchie e inutili, che - in casa o
sul lavoro - ostacolano il nostro benessere.
Space clearing indica la condizione in cui ci sentiamo ancora capaci
di controllare noi stessi, di creare spazio, pulirlo, liberarlo da
oggetti che hanno "svolto il loro ruolo" e sono diventati ingombranti.
Decluttering è ammettere a noi stessi, e agli altri, che proprio non
ci sentiamo in grado di ri-organizzare i nostri spazi con serenità,
sistemare, eliminare o riciclare certi oggetti.
In questi casi piuttosto "estremi", si possono stipulare contratti
con società specifiche per il Decluttering a Milano, come in altre città,
che arrivano sul posto - ormai invivibile per l'accumulo di oggetti - e
"sgombrano", buttano via tutto con il nostro consenso e difficilmente
chiedono: "Vuole tenerlo questo?".
Questi approcci però spesso trascurano il significato psicologico che
l'accumulo compulsivo "racconta", e chi accumula magari si sente frustrato
al pensiero che stava seguendo i consigli di amici o parenti. Quante volte
ci siamo sentiti dire infatti: "Tutto può tornare utile prima o poi!".
Frase difficile da mettere in discussione...
Carl Gustav Jung - estremizzando tale "regola" - mostra come si possa
arrivare a non buttare via nulla. Il rischio è quello di "centrarsi" su
una sola regola e di seguirla senza metterla mai in discussione.
«Con l'esagerazione il bene diventa non migliore, ma peggiore; e un male piccolo, con la noncuranza e la rimozione, diventa grande» (Jung, "Saggio d'interpretazione psicologica del dogma della Trinità", Bollati Boringhieri, 1992).
"Chi accumula" può ribadire che è la società a spingere al consumo, per
far crescere il Pil e il benessere collettivo. Poco tempo c'era persino una
pubblicità che ringraziava chiunque fosse sorpreso a fare acquisti. Questi
aspetti culturali influiscono molto sulle persone già inclini a trarre
soddisfazione dallo shopping.
Comprare vestiti, cellulari, viaggi... crea "senso di appartenenza" - sottile
ma potentissimo - e questo modello consumistico ci fa sentire "unici e speciali"
per il possesso di oggetti alla moda che hanno già milioni di persone.
Dai casi che ho trattato di Decluttering e accumulo compulsivo a Milano,
ho riscontrato come una sorta di "difficoltà a "cambiare stagione".
Durante il "cambio di stagione" - a cui periodicamente ci si dedica - si
riprendono i vestiti lasciati negli armadi e spesso ci si impone di fare un
inventario di "cosa ci piace ancora", "cosa ci sta bene" e di cosa invece va
assolutamente buttato via, regalato oppure riciclato.
Se abiti, oggetti, libri o una serie infinita di "ninnoli" rappresentano
per noi qualcosa di davvero importante - perché ci raccontano un episodio, ci
ricordano persone o un periodo della nostra vita - conservarli è anche giusto.
Il problema è quando queste cose ci sembrano affettivamente irrinunciabili
e si va verso un accumulo compulsivo.
"La strada verso l'accumulo è lastricata di buone intenzioni". È allora che in noi si mettono all'opera meccanismi, pensieri costanti come:
Il risultato è accumulare, credendo di non farlo e di essere in attesa
di "sbarazzarsi di tutto".
In questi casi può essere utile leggersi un libro dei tanti pubblicati sullo
space clearing ma - nel momento in cui si legge tanto e non si mettono in pratica
i consigli pratici descritti - potrebbe essere utile un lavoro più profondo e impegnativo.
Non si tratta di insistere in penosi "gesti di smaltimento", faticosi e frustranti,
quanto piuttosto di cercare il significato che il nostro specifico, personale tipo
di accumulo può raccontare a noi stessi o al nostro Psicoterapeuta.
Condividere i significati legati agli oggetti, ripercorrere episodi emozionanti della
nostra vita ci aiuta infatti a "lasciarli andare".
In sintesi, nei casi trattati di Decluttering a Milano, ho constatato che materiale
vario, scrupolosamente conservato - così come una camera sempre uguale in cui negli
anni si accumulano oggetti - spesso rappresentano un serio e disfunzionale tentativo
di "fermare il tempo", e il non riuscire a cambiare stagione, quella intima e personale.
È quello che accade nel lutto: è difficile decidere cosa tenere e cosa "dare via" di
un caro defunto e, in casi estremi, si lascia tutto così, come lo aveva lasciato
la persona scomparsa.
Tale meccanismo funziona anche senza parlare in senso letterale della "morte".
Insieme allo Psicoterapeuta si può ripercorre la propria storia di vita,
come se si scrivesse un'autobiografia "a quattro mani".
Questo aiuta a rivivere ogni avvenimento significativo, dandogli "il giusto peso"
per poi lasciarlo andare. Il percorso analitico è spesso un ritorno al passato, per
poterlo rendere effettivamente "passato", elaborare i momenti piacevoli e quelli critici,
rintracciare e analizzare rancori, desideri non espressi...
L'Analista Romano Màdera pensa che la nevrosi nasca dal modo di interiorizzare
pressioni e conflitti sociali all'interno della famiglia e che la forma generale
della psicopatologia sia una "richiesta di risarcimento rivolta al passato".
«Se il presente e il futuro diventano la scena nella quale si ripete la richiesta inevasa del passato, allora è l'intera personalità a subire un restringimento, una sorta di mutilazione che impedisce la spinta vitale verso ciò che ci sta davanti e chiede di essere incontrato e affrontato» (Màdera, "La carta del senso", Raffaello Cortina, 2012).
L'autobiografia a quattro mani riprende ripetutamente i passaggi fondamentali,
piacevoli e dolorosi della vita, per trasformarli in ricordo, qualcosa che è stato
e possiamo considerare passato.
Così, sicuramente risulterà emozionante ma molto più facile lasciare andare gli oggetti,
anche quelli che ricordano episodi, persone o periodi del nostro passato.
Così i luoghi in cui viviamo o lavoriamo si libereranno...
per fare spazio al nuovo.
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